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LETTERE DI GIOVINEZZA E D’AMICIZIA A DON FRANCESCO GALLONI
Come entrasse nella vita di famiglia dei Montini narrò egli, don Francesco Galloni, una volta. Nell’agosto del ’14, ventiquattrenne e prete da un mese, mandato cappellano a Pieve di Concesio, incontrò in chiesa, la prima domenica, il padre e i due figli maggiori Lodovico e Battista (diciotto e diciassette anni). Il giorno dopo venne la mamma Giuditta a invitarlo in casa, perché la nonna voleva salutarlo. Andò e la trovò seduta in giardino, che leggeva un’opera di san Francesco di Sales. Era la signora Francesca Montini Buffali (che celebrava il suo onomastico, graziosamente, due volte, per la festa di santa Giovanna Francesca de Frémyot de Chantal e per quella del santo scrittore della Philothée). Prese a trattare il giovane ministro della Chiesa quasi a nipote, il ventiduesimo della sua discendenza, e gli fece qualche racconto di sé: quando, rimasta vedova immaturamente, con la famiglia si era trasferita a Padova, per seguire il figlio Giorgio negli studi all’università. Accolto anche nella casa di Brescia, a via Grazie 17, qualche volta vi si fermava per la notte. Un’affinità già elettiva lo legò al secondogenito Battista. A lui, passato nell’estate più avanzata a Verolavecchia, come usava la famiglia, mandò un libro, che segnò il principio del carteggio qui presentato: erano, una delle scelte più proprie nella situazione, le ardenti Lettere ai giovani di Henri-Dominique Lacordaire, il restauratore dell’ordine domenicano in Francia e suscitatore di splendide energie spirituali. La dedica, che accompagnò il dono, è significante già del carattere della relazione:
Concesio 26 settembre 1914
Carissimo Battista,
l’amabile parola di questo appassionato amico dei giovani accompagni i suoi giorni e ne assista le sante aspirazioni; e Le riveli tutta l’ineffabile e trepida giocondità del Sacrificio Cristiano e le soavi tenerezze del Paterno amplesso di Dio. E la figura nobilissima e il pensiero gigante conforti ed animi la fede comune e le comuni speranze finché ci coroni lassù il compimento della Redenzione e ci ritrovi con tutti i nostri la Comunione dell’eterna Carità. Aff.mo.
Francesco Galloni
Il destinatario rispose quasi subito, il 1° ottobre, aprendo lo scritto con un cerimonioso «Reverendissimo e carissimo Sig. Curato». Ma la breve distanza d’età, sette anni, e le determinazioni, probabilmente già intuite comuni nel servizio della Chiesa, fanno esprimere nel contenuto termini di amicizia e fraternità:
Il ricordo delle giornate di Concesio ci ritorna alla mente più soave, più attraente, sotto un aspetto più piacevole di quello degli anni scorsi, poiché Ella ha saputo colla benigna confidenza che ci ha mostrato, completare le nostre vacanze, e la sua amicizia è apparsa come un santo conforto a noi tutti, come un esempio candido, semplice e nello stesso tempo sublime a me, che ho incominciato a riguardarLa come un bravo fratello maggiore, che ha già sperimentate le prime prove. Quando lessi le parole, che scrisse sul bel libro ch’Ella mi regalò, dapprima mi piacquero come belle parole, il giorno dopo pensandoci volli rileggerle e vi trovai un nuovo significato, non solamente estetico, ma fraternamente cristiano e sublime: oggi le ho rilette e vi ho risentito la medesima armonia; ecco perché ho detto che la sua amicizia m’appare come quella d’un fratello maggiore: Ella in tutte le sue parole, nelle sue cortesie, nelle sue visite ha rivelato la sua anima candidamente cristiana. Permetta dunque ch’io al sentimento di sincera venerazione e rispetto che provo per Lei, unisca quello della confidenza, e perdoni se dico di più, unisca l’amicizia.
Don Galloni andò a Verolavecchia, dove i Montini protrassero il soggiorno fino all’autunno, e tornato a Concesio ne ebbe un’altra affettuosa lettera, del 3 novembre, con l’invito rinnovato per la città. Lo scritto di Battista s’improntava d’austera mestizia, della stagione, ma non senza che ne risorgessero immortali certezze:
Si ricordi che quando saremo a Brescia vogliamo vederLa spesso a casa, chè tanto la sua compagnia ci fa bene e ci fa la grata impressione della letizia serena, sì rara in questo misero esilio, dove ogni cosa, - come la natura che ora ferita dal freddo, dalla bruma, dal tempo si appassisce -, non alimentata di speranza trascendente il tempo e non riscaldata ed ornata dall’ideale dell’amor di Cristo, svanisce e si disperde al soffiare del tempo e del sacrificio.
[...] Ed Ella non si dimentichi di noi, preghi per me, per noi: ed il Signore che ha voluto che c’incontrassimo in questo cammino, ci riunisca nel suo amplesso, d’amore e ci chiami nel suo regno.
Quando penso al regno venturo, e alla maniera d’ottenerlo mi sento come stanco, ma ripensandovi l’anima mia prende nuova lena piena di speranze.
Intermezzo di un anno. La successiva conservata è dell’ottobre 1915 (manca il giorno), da Verolavecchia, e s’introduce con un rapido cenno delle «belle giornate di S. Genesio», che erano state nell’agosto. Un’esperienza spirituale, questa, sicuramente importante nella vita del giovane Montini. San Genesio è un eremo camaldolese, sopra un colle della Brianza, alla rispettabile distanza di centocinquanta chilometri da Brescia. A scoprirlo era stato appunto don Galloni, conoscitore, sulla scorta del Manzoni, dei luoghi tra Lecco e l’Adda. Portò lassù, questa volta, per una mulattiera, Battista e l’oratoriano Paolo Caresana, amico e maestro, attirati dalla promessa d’aria aperta, di paesaggi dai larghi orizzonti e di respiro per l’anima. Che furono puntualmente trovati e goduti, durante una settimana, tra i prati e la chiesa dei monaci eremiti. Ma il rigore della regola fece tenere fuori del recinto l’unico laico, che passò le notti, si presumono divertite e beate, nella legnaia (e se ne ricordò fino da papa, nella lettera, che si troverà più avanti, del 9 dicembre 1968).
Alla data di questa, del ’15, l’Italia è in guerra, e il giovane cappellano sta per indossare la divisa militare, con una determinazione che, si sentirà, non ebbe a mancare di ostacoli. Ricevette parole affettuose e sagge, con richiesta di consigli d’amicizia e non senza il ricambio d’una curiosa e piacevole «predica»:
Però, volendomi scusare, Le dirò che la mia mente quando correva a Lei e se Lo immaginava in tutti i suoi cento trambusti, non aveva né voglia di venire con una lettera ad aggiungere quasi un nuovo peso a tanti altri, né si sentiva in caso di mandarLe parole d’incoraggiamento e di conforto, il che sarebbe stato dovere d’amico e mio desiderio.
Può credere però quanto noi tutti condividessimo le sue ansietà e i suoi momenti di tristezza, augurandoci di sentire ben presto una soluzione felice che mettesse fine a queste penose circostanze. E la soluzione che per il momento il Signore ha mandato, sia, glieL’auguro, la migliore.
Quando penso a Lei, specialmente sapendo che tra poco dovrà indossare la divisa militare, mi pare d’aver molte cose da dirLe, o meglio, tante cose s’agitano in me indistintamente, che poi non so mettere sotto la forma della parola, ma formano complessivamente ciò che si potrebbe chiamare il desiderio d’una amicizia vissuta e assai intima.
Ho scritto in questi giorni a P. Caresana sui fatti miei, ma mi accorgo che perdo la necessaria semplicità assai facilmente: perciò l’orgoglio fa mettere in vista ciò che a lui piace e nasconde accuratamente ciò che gli meriterebbe biasimo. Se io avessi scritto a P. Caresana con semplicità, senz’affettazione o ricerca di parole, sarei ora assai più soddisfatto e mi sentirei più predisposto alla confidenza.
Io non voglio che Lei mi risponda, ma se proprio lo volesse, mi parli della semplicità e qual criterio debba tenere per non confoderLa con l’orgoglio. Avrei tante cose da chiederLe e perciò, non volendo, come Le ripeto, darLe la noia di rispondere, insisto, col nostro vivo e comune desiderio, affinché si prenda una giornata o due o tre, (più sono e più la nostra gioia cresce in proporzione geometrica) per venire a visitare questi poveri esiliati. È vero che pretendere che Lei abbia in questi ultimi giorni di permanenza a Concesio tempo da spendere per noi è un po’ troppo, ma (e siamo al solito argomento) Lei ha bisogno di un po’ di riposo e anche questo è un suo dovere come gli altri. Io Le ripeto ciò che ho letto sulle Lettere di Lacordaire: «Se sapesse, come è utile nella vita perdere del tempo opportunamente». Dunque Le raccomando, (mi viene un po’ da ridere ch’io faccia delle osservazioni e correzioni a un reverendo) abbia un grande ordine e una gran calma nelle sue azioni; ami le sue fatiche, ma vi aggiunga il riposo necessario. Le ripeto ancora con Lacordaire: «Ho orrore di affrettarmi...». Io credo che questo non sia un amare la vita comoda, ma sia un rispetto all’opera di Dio, sia un rispecchiare l’ordine divino anche nelle nostre azioni comuni e quotidiane. Sia regolato dunque ne’ suoi pasti e non ci sia bisogno che l’ordinanza del Cappellano Cavagnis venga a fargli le frittate per cena, ma procuri di pensare che col lavoro che fa, ha bisogno di nutrirsi e di non sciupare tante energie future che col suo sistema di vita andranno forse a male.
Se Le ho scritto questa predica è perché sono ancora sotto l’impressione di tutte le mormorazioni e i rimproveri che abbiamo fatto a suo riguardo domenica sera col cappellano Fumagalli, e anche perché sento davvero di amarLa e mi dispiace sentirLa rimproverata
La chiusa riassume la nota della pietà e la confidente richiesta d’aiuto, per la via dello spirito:
La prego di ricordarsi di me e di pregare per me: quando io desidero di essere insieme con Lei, La cerco nella S. Comunione: allora sento che viviamo insieme, della stessa Vita, che il medesimo Sangue circola in noi; e così faccio di tutti quelli che amo, li cerco in Gesù e ve li trovo.
Preghi tanto per me, mi parli con franchezza e senza riguardi: una cosa che a me fece assai male nella vita, fu il trovare pochi rimproveri, e lodi sproporzionate per la mia virtù, incapace di dirigerle a Dio.
L’altra è dell’anno stesso, 19 dicembre 1915, con il lievemente umoristico appellativo «Reverendissimo Sig. D. Soldato della Patria», ma per seguitare nella comprensiva immaginazione della nuova e diversa vita del corrispondente:
[...] Se sapesse come questa divisa che riveste il - nostro curatino - ci si presenta tante e tante volte nella giornata, ci si presenta snella, compita, inappuntabile alla memoria... cioè alla fantasia che lavora sulla descrizione fattaci dal Papà, il quale non potè che lodare l’aspetto marziale, per quanto poco terribile, del soldato d’Italia! E vorremmo poterLe essere vicini per condividere le ore di libertà e poter ascoltare tutte, e m’imagino che saranno molte, le congiunture più o meno liete e ridicole, dolorose e strane in cui La metterà la vita di caserma. E anche su questo punto la fantasia lavora egregiamente, perché i due anni di vita trascorsi nella più schietta famigliarità, le offrono un contingente e materia prima eccellenti.
Perciò i particolari, per quanto pochi, che le sue lettere ci hanno fatto conoscere sulla sua vita di caserma, ci hanno recato grandissimo piacere vedendo come nessun ostacolo sia così forte da impedirLe di condurre una vita sacerdotale, veramente dotata delle fatiche minute, continue e pur tanto pesanti dell’apostolato e del lavoro interiore.
In un temporaneo soggiorno, di preparazione, a Milano, don Galloni trovava ospitalità presso una casa religiosa, conosciuta dai Montini, in via Monte di Pietà 3, dove la lettera suddetta è indirizzata:
Dunque il Cenacolo L’è diventato l’asilo, il rifugio, il cenacolo di pace, di conforto. Oh, come penso, e credo d’esser vicino alla realtà, tutta la forza e tutto l’amore che Le occuperà l’anima prima di tante strane e forse poco gradite impressioni; misuro la pace che succederà in Lei e godo, e tutti godiamo, di saper che Lei ha la sua oasi fresca e folta in cui può ricoverarsi ogni giorno!
Un’aggiunta di mano del padre, alla fine, denota l’affettuosità della relazione: «Un abbraccio anche dal papà, che scriverà fra breve al suo quarto figliolo. IO».
A Milano, ancora, è diretto un particolareggiato ragguaglio su cose e persone, che il 28 febbraio 1916 gli fece il secondogenito, incaricato della corrispondenza dai famigliari. La prima notizia riguarda alcuni esami, dati fuori stagione nelle circostanze di guerra, e destinati a rimetterlo in carreggiata, dopo gl’incidenti ricorrenti di salute:
Reverendissimo e più che carissimo D. Galloni,
Lei avrà detto di me, ciò che noi diciamo di Lei: - E' un pezzo che non si fa più vivo E di più quelle scuse, certo anche per Lei alcune più o meno buone ci saranno, che La difendono sono uguali a quelle che difendono me: ho avuto molto da fare.
Ora ho finito gli esami, grazie a Dio fortunati; ne ho dati quattro e cioè: ital., matem., latino e greco e, mi dimenticavo, e ginnastica che fu il migliore. E Lei è passato soldato in piena regola?
[...] Adesso ho io un mondo di notizie da darLe: la prima dunque quella degli esami glieL’ho già data e La prego a ringraziare il Signore che mi ha fatto con un pensiero d’amore e di tenerezza la sua continua assistenza in questa circostanza, tanto che mi sento ora più che mai tranquillo anche per l’avvenire mio e di quelli che mi circondano.
Lodovico è ancora a Torino. Fece la domanda per l’Accademia di Artiglieria, ma l’accettazione non ci è ancora pervenuta e il corso s’apre al I marzo. Povero Lodovico! mi pare un po’ disilluso, un po’ spostato, ma sempre fiducioso e rassegnato però. Il Signore gli fa fare la carriera del sacrificio, e certo non mancherà d’aiutare e lui e noi, cui pesa il vederlo da badilante passare in una fureria, sinonimo di stalla, senza un impiego o un’occupazione fissa e senza ch’egli senta ben occupate le sue facoltà a profitto della patria. Speravamo poterlo vedere prima d’incominciare il corso, ma vediamo sfumare questa sua visita a casa.
Il cappellano Fumagalli è partito l’altro giorno per Taranto! Come siamo facili ad attaccarci e perdere di vista la realtà delle cose! In sette mesi ch’era a Brescia era diventato come uno di famiglia; può quindi pensare cosa sia stata la separazione, tanto più sgradita e difficile in quanto si presentava incorniciata da un tempo pessimo e dalla poco lieta prospettiva dell’Albania.
Termina con un sorriso, accennante nella sottolineatura del cognome qualche promozione militare dell’amico, ma per passare a sentimenti spirituali, che nel post-scriptum aprono per un attimo l’adito proprio al suo intimo:
Riverisco, D. Galloni! Stia bene, si ricordi di noi, di tutti. E il buon Salvatore sia il dolce legame che riunisce le separazioni. Giosuè Borsi scrivendo alla sua mamma dice che l’unione degli spiriti non è meno reale della materiale; difatti non viviamo tutti della medesima vita? coi medesimi desideri? con una medesima patria che ci attende? Oh come la patria terrena in tanti cervelli nasconde, vela, trasforma e fa passare in seconda e terza linea la futura! E dire che sarebbe così bello il riunirle nel cristianesimo praticato.
Riverisco, riverisco: bisogna che vada alla Pace: saluto tutti a suo nome, non è vero? - Francesco, tutti La salutano e Le augurano ogni benedizione. Nel Signore amico e fratello Battista
«Gaudete, gaudete! » com’è bello e se si soffre? è forse anche più bello (Note della meditazione d’oggi)
Un altro corriere, di esami e di guerra, fornisce la successiva, in data 8 luglio 1916, da Brescia:
Ho finito ieri gli esami e spero siano andati tutti bene; ora... le vacanze. Che vacanze saranno: liete, tristi? Non so: penso però che segneranno nella mia vita un principio di vita diversa. E Lei? Come sta? Come e dove si trova? Abbiamo ricevuto le sue lettere così interessanti per noi tutti perché ci riavvicinano a Lei e ci fanno pensare un po’ di più alla realtà della guerra, realtà che tanto spesso siamo tentati di dimenticare e che vediamo veramente dimenticata passando per istrada, nei caffè, nelle osterie più che mai piene di gente.
E poi ci par di sentirLa parlare, discorrere nello scritto, frettoloso e concitato e sereno come faceva nelle brevi e farraginose corse settimanali da Concesio a Brescia e ci richiamano alla considerazione matura della vita umana.
Giorni or sono, fu da noi l’Alpino abruzzese che ci portò il suo biglietto, ma io non lo vidi immerso com’ero ne’ miei studi. La ringraziamo anche di questa attenzione e La preghiamo di non trascurare occasione alcuna con cui farci giungere le sue nuove.
Lodovico, l’aspirante, è ancora qui al 16° d’Artiglieria e incomincia ad essere irrequieto temendo di fare almeno in apparenza il semi imboscato: la Mamma invece trova in ciò ragione di sorridere, di ringraziare la Provvidenza preparandosi a sostenere il peso d’un eventuale e certo non lontano distacco.
Il foglio s'infittisce d’altre notizie: di «amici della Pace» dispersi per i luoghi della lotta, di caduti, di partenti. Così che egli avverte, a un punto, una specie di ritegno, in quel «rammentare tutta la vita che si è lasciata a chi si trova davanti a continui pericoli». Ma egli sosteneva una guerra, anche più dura, con il suo fìsico fragile, che in quegli anni sofferse le prove più gravi. Informava, nel post-scriptum:
9 lug. - Domani parto con P. Carli per Viareggio; un po’ di bagni di mare. Oh, se potessi una volta essere ristabilito del tutto mi parrebbe di mettermi con gran lena per la via del dovere e del sacrificio! E non penso e non so che vale più fare quello che vuole il Signore che fare ciò che pare, anche se è bene.
Mi raccomandi al Signore specialmente in queste vacanze in cui saranno prese per me decisioni a cui è legato tutto lo svolgimento della mia vita.
In una aggiunta del 10 apposta alla lettera del figlio, il padre comunicò le risorte speranze, dopo il faticato successo: «S’è preparato quasi da solo, con poche lezioni, in questi ultimi mesi: e quando si pensa che era ridotto a non poter leggere il titolo del giornale e per due anni circa ha potuto far niente, questa ripresa ha del prodigioso e la consideriamo una vera grazia».
Ma la salute fisica, prova dura della giovinezza, che ebbe conseguenze nel tracciato stesso della vita, rimase un problema in tutti gli anni di guerra. Nel gennaio ’17, allettato da quindici giorni, descrisse all’amico la sua condizione (la volontà di essere prete era già notoria):
Ed è così che ho troncato la mia vita girovaga tra la casa e il Seminario, ho chiuso i libri, smesso lo studio e preparato l’animo impaziente ad aspettare. Ad aspettare nuova lena, nuovi progetti, nuove combinazioni.
La Provvidenza vuole che m’abitui a questa ginnastica, finché non sarò tanto plastico fra le sue mani da non attaccare il cuore a degli scopi egoistici ed umani, che possono offuscare inconsciamente anche gli ideali più sublimi. Non habemus hic manentem civitatem ! Coraggio, dunque, aspettiamo il momento di ricominciare, o meglio di continuare. Non voglio veder nulla d’interrotto, quand’anche realmente lo sia, perché anche la stessa interruzione può servire per preparare, per elaborare, per costruire l’edificio della virtù. Ma ciò non toglie che non sappia brontolare!
La mente sorpassava le costrizioni personali, e meditava sulla grande, universale sofferenza della guerra. Il cappellano militare la vedeva e partecipava da vicino, tra gli alpini del battaglione Montesuello, 5° reggimento (erano i mesi di azioni eroiche, che gli guadagnarono una medaglia d’argento e due di bronzo). Altamente, la visione del suo corrispondente si faceva riflessione religiosa:
E così tutti abbiamo qualche cosa da soffrire in questa grande prova, di cui Lei ne osserva e ne esperimenta forse la parte più cruda. Che si ha da dire? È vero che solo il silenzio sa essere eloquente nei grandi dolori, nei momenti delle terribili prove, ma quando l’angoscia della prova è universale ed essa stessa chiede una parola di spiegazione, di conforto, come tacere? E che dire - Lei lo saprà - se non la parola divina di Cristo che spiega il dolore, ne mostra l’austera bellezza, ne trae radiose speranze? Perciò a noi che da lontano seguiamo col cuore vicino la sofferenza della loro vita - di ghiaccio e di fuoco - riesce confortante poter ripetere, senza timore di privarle di significato consolante, le parole di Gesù: - Beati quelli che soffrono! - Coraggio, dunque: la nostra vista si bei nella contemplazione dei nostri ideali; non li avrà mai esauriti, non ne avrà mai asciugata la fonte confortatrice. Come penso spesso a questa realtà, a questa esistenza oggettiva di ciò che crediamo, e come vedo che nessuna forma per quanto strana, dolorosa di vivere quaggiù può in certo modo rendersi degna, adeguata alla realtà che si crede, così non mi stupisco quando vedo che non solo nel santuario del cuore, ma anche nel modo di condurre la vita s’è introdotta, s’è realizzata la dottrina preziosa, che trasforma tutto, che tutto eleva e sublima. Voglio dire che la traduzione della fede nella vita pratica, per quanto può essere dolorosa e ripugnante, non è più tale per la volontà quando si riesca a penetrarsi della vera e reale esistenza di ciò che la fede afferma, della realtà dei nostri ideali.
Vede che confusione di parole? Eppure il loro pensiero è quello che mi dà forza, è quello che non mi fa parer strana la nuova vita incominciata, rispetto alla vita di ieri. Se può scrivermi, mi parli della vita del Seminario; non l’ho ancora penetrata nella sua realtà, non mi sono - amalgamato - ancora. Non ho contratto ancora alcuna relazione con alcun compagno, non ho provato ancora qualche impressione profonda, o pochissime.
Da Brescia, città di retrovia, con i confini della provincia diventati fronte di battaglia, scrisse ancora, il 28 marzo ’17, per dare notizie e confermare l'intensa vicinanza della preghiera (con la figurina della nonna che passa le giornate «... al fronte»):
Reverendissimo nostro
D. Francesco,
Vede? a me questa volta il compito di mandare le nostre notizie. Le quali sono buone: la Nonna passa le sue giornate nella alternativa delle ore buone, colle discrete e colle poco discrete; povera Nonnina! il pensiero è sempre costantemente ai suoi nipoti, ai lontani, passa le giornate... al fronte; sì, al fronte per quanto solo col cuore, colla preghiera, incrociando così tutti gli affetti che i buoni nipoti dirigono verso il loro nido lasciato, il loro punto centrale, la Nonna, che aspetta nella tranquilla fiducia di chi vuol bene al Signore. Così è Lei che per tutti questi suoi giovani soldati ha un ricordo speciale, una preghiera particolare. E noi pure con Lei: tutti insomma seguiamo i nostri cari con intensità d’affetto che talvolta vorrebbe manifestarsi nell’impazienza, nel desiderio di poter vedere la fine di questa burrasca immane, ma che la figura serena e forte di chi soffre per la gran causa sa acquetare, sa indirizzare in una preghiera più fervida, in una speranza più soprannaturale, in uno stato d’animo più degno dell’ora presente. [...]
A Brescia nulla di nuovo: i soldati crescono, crescono; invadono, penetrano, dando a Brescia l’aspetto affannato della guerra reale. Alle Grazie si fa un piccolo Quaresimale per i soldati: ma non è in retrovia che fiorisce la divozione; sono circa duecento soli i soldati che vengono: si vedono in cera, poveri padri di famiglia che l’andatura, il portamento, la fisionomia rivelano per buoni padri di famiglia delle nostre campagne; intontiti e timidi, sono alcuni chierici sbattuti come uccelli dall’uragano... fuori le vie rigurgitano di soldati, di ufficiali! E P. Caresana, dentro, ha saputo invadere col suo zelo instancabile anche il pulpito dei soldati, aggiungendo fatiche a fatiche... Poveri soldati! non mancano però gli esempi di fede: pochi giorni fa a S. Maria in Calchera un soldato faceva, ancora digiuno, la sua Pasqua, alle 18,30! È già il secondo caso del genere!
Oggi fu a Brescia P. Bevilacqua per una scappata di servizio, e spera di poter fare la settimana santa alla Pace.
E Lei? come sta? Noi, per quanto questa sia un’abitudine mentale permanente, ce la immaginiamo in moto, più che perpetuo, per la Pasqua dei suoi soldati. Se le nostre preghiere varranno qualcosa, non dubiti che specialmente in questo periodo abbiano a mancare: il Signore che sa trarre da ogni evento argomento e occasione di gloria, potrà servirsi di questi momenti terribili per imprimere uno slancio di fede nelle coscienze assopite e non mai prima d’ora accostate, che preluda a un risveglio, a un trionfo di cristianesimo.
La guerra si prolunga, al di là delle previsioni. Il pensiero si concentra sulle condizioni dei soldati, che stanno per affrontare il terzo inverno. Un breve biglietto, del 12 ottobre 17, attesta: «Si ricordi che noi La ricordiamo sempre, continuamente! che noi seguiamo i nostri soldati colla più viva e cristiana tensione di spirito». Tra le aggiunte, un assillo per il secondo dei grandi amici della Pace: «Di P. Bevilacqua mancano [notizie]: si teme assai: era alle Melette! Dio lo salvi! La Madonna ci aiuti. Battista ». Fu salvo, nel cimento; ma, il 4 dicembre, avrebbe avuto inizio per lui la forse più dura prova, quella della prigionia.
Sopravvenne, nell’autunno cupo del 17, Caporetto. Per mezzo di uno sconosciuto portatore, arrivò a Brescia uno scritto, ritardato, di don Galloni, alacre come sempre alla sua azione spiritualmente animatrice. Il 10 gennaio 18, il giovane corrispondente riprese quella visione, quasi proiettata a sé e ai famigliari partecipi:
Ancora però ci compensa di questa disavventura postale la lettera sua che narrava, alla Nonna per tutti, il Natale dei suoi Alpini e se non ci trattenesse una certa ripugnanza a turbare con lodi ciò che nasce dall’amicizia semplice e schietta che Le fa pensare a noi, Le vorremmo dire il bene che ci allietò pensando alla suggestiva e nello stesso tempo serena cerimonia del loro Natale. Poveri soldati nostri, che al contatto coll’amore cristiano trovano ancora il modo di curvare lo spirito e di mormorare la preghiera che lenisce il sacrificio che impegna la loro vita, e che ci fanno coll’esempio d’una fede e d’una pietà troppo poco frequente, risorgere nelle nostre speranze i bagliori della luce divina! Sembra che oggi queste speranze vengano a trovarsi oggetto di presagi che cospirano dolorosamente contro di esse; perciò pensi se sempre ci conforti la storia di bontà e di fiducia dei suoi Alpini.
I quali certo entrano in modo particolare nella cerchia di quelli a cui vogliamo bene e per cui invochiamo dal Signore benedizioni speciali. La Nonna poi trova modo di far ciò nelle sue giornate tranquille, abbastanza buone, mentre colle lunghe preghiere viene rifacendo la via di affetto che conduce il cuore ai cari lontani.
La guerra giunge al termine, finalmente. Ma i tragici effetti di essa esigono ancora l’opera della pietà cristiana: la raccolta e il riconoscimento delle salme dei caduti, l’assetto dei cimiteri disseminati in tutti i teatri della lotta. Don Francesco
Galloni si diede anche a questa impresa, generosamente. La lettera che segue congiunge ciò che egli opera alle speranze di una pace vera, tra il prorompere dei disordini e violenze del dopoguerra.
Brescia, 23 maggio 1919
Carissimo D. Galloni,
Fra i grandi morti di costì ricordi i molti piccoli vivi di quaggiù. Abbiamo un assoluto bisogno che il Signore accetti, per le nostre famiglie, per la città, per la patria, il sacrificio dei nostri soldati affinché valga finalmente pace e giustizia al mondo. Non Le dico dei fermenti corrompitori che ci circondano e che ci fanno talvolta piangere sulla perversità umana, su plebi deliranti perché lontane dalle sorgenti della verità. Sappia però che v’è anche un cumulo di lavoro buono, un fascio di energie che si moltiplicano consumandosi e logorandosi per la buona causa. Ripeto, abbiamo bisogno di sentir cotesti morti farsi mediatori di pace.
[...] Noi bene tutti; La ricordiamo come vorremmo essere in Cristo ricordati da Lei.
Per tutti saluto.
Battista
Questo anno 1919 approssimò il giovane Montini alla meta a cui aveva mirato e si era preparato tenacemente, attraverso le prove. Della nuova fraternità, per ciò sentita verso il sacerdote amico dell’adolescenza, dà segno quanto gli scrisse al principio del 20, passando anche nello stile al tu, e chiedendo con più urgenza nella chiusa una vicinanza nello spirito.
Brescia, 3 gennaio 1920
Caro D. Francesco,
Noi gli auguri per Te e per gli alpini li abbiamo pronunciati davanti al presepio dove ogni affetto cristiano conviene, si comunica e si moltiplica. E i tuoi auguri li abbiamo ricevuti come un atto di presenza alla cara solennità del focolare. [...]
Noi ci lusinghiamo di vederti capitare presto, magari in congedo! Il bisogno di coordinare il lavoro di riconquista dei fratelli è ogni giorno più vivo e urgente: il risveglio è lento, ma reale; ma un po’ cieco e senza ordine.
Voglia ricordarti anche particolarmente di me che sono nell’ansia delle più tremende e sante aspettative, colla precisa e incombente sensazione della insufficienza in tutte le facoltà naturali e spirituali. È il tuo fratello minore che te lo chiede in Cristo.
Battista
Prese, come noto, la veste ecclesiastica il 21 novembre ’19, e il 14 dicembre ebbe i due primi ordini minori. Due giorni prima del diaconato, indirizzò a don Galloni, la bellissima lettera che segue, e alla quale non occorre alcuna nota di commento.
Brescia, 6 marzo 1920
Carissimo D. Francesco,
provo vivissima gioia sapendo che hai voluto condividere meco la letizia e la solenne trepidazione della mia prima definitiva ordinazione, perché condivisa la letizia cresce e la trepidazione lascia il posto a quel sentimento di fiducia ch’è proprio dell’amicizia in Cristo. E poi ho così continua la sensazione della angusta capacità mia nel comprendere e nel contemplare i misteri impressimi nello spirito poverissimo dallo Spirito Santo, che temo di smarrire l’idea della loro trascendente grandezza, quando d’intorno l’occhio e la voce dei buoni non mi avverta della grazia che porto con me.
Provo le vibrazioni del Magnificat, che Maria m’ha insegnato, col Vangelo, a ripetere dal primo giorno che ho sperimentato i disegni di Dio e che ho capito di lodarlo attraverso la folle bontà che voleva d’un infermo un eletto. Il Signore che m’ha dato così chiara visione della mia nullità, mi dia anche quella della sua forza che mi conservi dalle astute menzogne che germogliano in noi, e sia la sua forza che agisca. Penso ch’essa è tale che per poco che noi cooperiamo essa trascina ciò che tocchiamo dal mondo al cielo, quasi nostro malgrado e a dispetto della nostra insufficienza; ma quale fatica per entrare in contatto con noi stessi e colle anime dei fratelli! o meglio, quale operoso lavoro si richiede! ma sempre, quale speranza lo sorregge! Io non so come ancora mi sarà dato trafficare il talento, ma se tu vedessi un giorno che io confondo e maschero l’impotenza fisica colla prigrizia elegante del critico inerte e parassita nella casa del Signore, per carità di fratello, fammi ricco della fiamma che anima il tuo apostolato, per pietà d’un cieco che diverrebbe guida di ciechi, ricordami ciò ch’io più d’ogni altro so dimenticare, quasi per predisposizione fisica, il dovere di moltiplicare energie e speranze per la gloria di Dio. So che non sono indarno queste parole. E sia questa la preghiera che m’aiuterai a compiere domenica prossima, che mi segnerà fratello di Stefano e di Lorenzo e darà nelle mie mani il Pane da portare agli affamati, e il Vangelo da predicare a una società che tutto ha inventato e scoperto fuorché il Vangelo.
Ti raccomando anche il Papà che è stanco e parecchio triste.
Quando vederti? Bada che si desiderano tue notizie precise. Buone le nostre. In osculo sancto
G. Battista M.
Tenente Cappellano D. Francesco Galloni Battaglione Tirano
Tarvis
Con ripresa di motivi di questa, attinge anch’essa nel profondo la lettera, forse altrettanto memorabile, scritta da don Galloni a colui che, nell’imminenza di ricevere il sacramento dell’ordine (29 maggio 1920), stava oramai per essergli fratello. In primo luogo, testimonianza all’investito della sofferta aspettazione di grazia. Ma a un certo punto, stranamente, il linguaggio si slarga con una specie di anteveggenza di un tempo ancora remoto: «Noi siamo il tuo popolo, la tua vigna, il tuo tempio... ». E colpisce, in fine, l’offerta per dono del povero calice di guerra, degno del suo giorno, per la carità e la speranza comunicate ai dolori più grandi.
Tarvis, 20 maggio 1920
Battista, non ò la capacità di sentire la tua gioia, né la gioia di tutti noi: Iddio e i suoi Angioli raccolgano questa preziosa grazia di preparazione, a cui s’accompagna la riconoscente fede e la fidente speranza di tutti i tuoi fratelli. A quelli che ti furon dati dalla carità della famiglia che son nati dal dolce nido domestico se ne unirono altri, cresciuti mano mano che la tua adolescenza e la tua giovinezza accostarono anime, e alle anime accostarono Cristo.
A quanti, anche una sola volta tu ài detto una parola che rivelava nella tua anima l’immagine del Maestro, ad essi sorride, in questi giorni, la pienezza della grazia che scende in te, la commossa tenerezza che ti adombra, la soavità eucaristica che ti pervade e ti avvolge. Per questi che sono veramente fratelli perché possa in loro la comunione della Parola e dell’Amore a te confidata nel Cenacolo, da te desiderata e raccolta nel tabernacolo e sul Calvario, per questi, Battista, è la tua festa; - per noi tutti è l’avvenimento che porta l’eletto innanzi all’Altare - e all’Altare tu porti il tremore e la gioia che corroborano e allietano la nostra giovinezza. Noi siamo il tuo popolo, la tua vigna, il tuo tempio; tu esprimi al Signore l’anima nostra, tu riassumi tutti i desideri e tutte le speranze - il Signore ti à fatto capace e degno di patire anche le nostre, e il Sacrificio che tu offri e a cui t’immoli è veramente la Redenzione, il perdono e la vita per noi. Guardiamo al tuo altare con questa fede e con questa preghiera, adoriamo il tuo calice con questa speranza, riceviamo dal tuo amplesso il saluto della carità che a Giovanni rivelava il cuore del Maestro, che sul Calvario annunziava ai discepoli la gloria della Resurrezione, che li à chiamati all’estasi dell’Ascensione, e li à raccolti per la Pentecoste. Dal cenacolo del tuo cuore, della tua benedizione e della tua preghiera, i tuoi fratelli usciranno per annunziare il Cristo; per la tua fede e per la tua Vittima anche noi avremo una forza novella che feconderà altri cuori e ti donerà altri fratelli - e tutti un giorno ti ridoneranno la Promessa di Betlem e del Calvario. Tuo
Francesco
Vorrei portarti il mio calice di guerra, perché tu celebrassi in questo; è poverissimo ma à dato ai più bisognosi la carità del Salvatore, à raccolto il grido di speranza dei più grandi dolori - per questo è degno del tuo giorno.
A distanza di due anni. Una lettera d’amicizia confidente, del più giovane; importante, perché fa il punto quasi della sua situazione. A Roma, è addetto alla Segreteria di Stato, una scelta non di sua volontà, e deve attendere a studi non di suo gusto. Non è ancora «tranquillo» sul suo futuro, ma procede rimettendo questo a Dio, come sempre. Pensa al lavoro, «prodigo di energie e di iniziative», di don Galloni, già lanciato per la sua singolare strada, verso oriente. Le notizie che gli dà dell’Italia, sono ancora dolenti. E aggiunge rapidamente, quelle domestiche, care anche per l’amico.
Roma, 19 giugno 1922
Caro D. Francesco,
ti ho dimenticato? mi hai dimenticato? perché non ci siamo mai scritto dopo otto mesi di così completa separazione? io sono stato veramente separato da te, povero esule, come incapace di comprendere le ragioni della tua partenza e della tua lontananza; e un po’ esule anch’io non ho trovato mai un accento che invitasse, che chiamasse, che salutasse almeno. Forse per opposte vie, ma per simili bisogni spirituali, tu ed io ancora cerchiamo la vocazione? o trovata la vocazione, uno slancio fuori dalla fiacca vita ordinaria, non troviamo come proseguire in pratica il piano tracciato? Tu forse, per esuberanza di generosità incapace di restare, ti sei aperto un sentiero, disperso dietro i dispersi. Forse in traccia della centesima pecora. Sei contento? Certo, non sapendoti immaginare quieto e ozioso, sono sicuro che il tuo lavoro, come sempre prodigo di energie e di iniziative, ti sarà conforto per quanto te ne manca dalla comunione dei tuoi e degli amici.
I quali non dimenticano; e forse aspettano. Ma non ho notizie bresciane, da darti perché sono assente anch’io. So che i desideri fervono più del lavoro, nel campo giovanile. Ora poi l’invasione fascista si riversa anche sulla nostra Provincia, come un fenomeno, rivestito di colori nazionali, di disfattismo, di violenza: nel nome della pace e dell’ordine giurano i conigli finalmente reggimentati e protetti, e i lupi che ieri erano rossi e irresponsabili, e oggi non meno feroci e violenti. Nulla di cavalleresco e di gentile.
L’Italia vive anche oggi la storia sciagurata delle guerre fratricide medioevali. Gli animi sono abituati agli eccessi: quelli del bene, per fortuna, pare non manchino, ma non sempre vittoriosi. L’azione individuale è ancora agli inizi. Il crollo dell’educazione religiosa che veniva dall’ambiente, dall’abitudine, precipita ogni giorno. Risalgono i valori dei sacrifici e delle credenze vissute personalmente. Si attende la risurrezione del programma di Toniolo.
Ma tu vorrai mie notizie. Io lascierò l’Accademia alla fine del mese, per ritornarvi forse l’anno venturo. Ma non sono ancora tranquillo sul mio futuro. Ma mi pare di desiderare soprattutto la volontà del Signore. Sento, a misura della deficienza, la necessità di semplificare la vita nell’umiltà e nella preghiera. Quest’anno ho studiato un po’ di filosofia e di diritto canonico; studi duri, un po’ vecchi, senz’ali, positivi però e abbastanza seri. Ma che vale studiare, quando, senza la possibilità di tradurre il pensiero in azione, in lavoro, non è ad altro giovato che ad acuire desideri di mente, e nostalgie d’apostolato? Sono infatti ancora l’inabile d’un tempo; però, grazie a Dio, campo discretamente; e mi accorgo che allo studio bisogna togliere l’egoismo del dilettante, dell’appassionato, per dargli lo scopo morale di dovere: per noi i diritti della scienza devono essere subordinati o guidati da quelli della carità.
Ho avuto il piacere d’avere la Mamma, il Papà e la Zia Bettina a Roma durante il Congresso Euc.faristico] (- Hai ricevuto i giornali?). Ora è qui il Papà solo. Lodovico è sempre a Ginevra; Francesco a Siena: bene tutti.
Così passa la vita che non è altro che un’attesa. - Dio ti benedica - Prega per il tuo
D. Battista
Per la documentazione accessibile, uno spazio di più che treni’anni intercorre tra lo spirituale commiato di questa lettera e una ripresa (ma rapporti vi furono certo tra il prelato vaticano in uffici sempre più importanti e l’ecclesiastico amico di
giovinezza, lanciato nella sua ventura, quasi avventura, di apostolato, e che nel secondo dopoguerra ebbe fino a reggere la rappresentanza pontifìcia in Bulgaria). In ogni maniera, occasione di riassumere il familiare legame di un tempo diede a don Galloni un’altra delle svolte predestinate nella vita di Giovanni Battista Montini: l’elezione al governo dell’arcidiocesi Milanese. Ancora dal Vaticano, questi gli rispose, con fedeltà di amicizia:
18 novembre 1954
Carissimo Don Francesco!
Non dubitavo della Tua cordiale e spirituale assistenza in questo momento tanto grave e tanto grande per me. Ma mi ha recato vivo conforto averne segno così cortese da Te: ho proprio bisogno d’essere sostenuto e aiutato dalle preghiere dei buoni. Tu sei fra questi, per tanti titoli!
A Dio piacendo, ci si vedrà; ma intanto ricordati del tuo aff.mo in
G.B. Montini
Ill.mo e Rev.mo Signor Monsignor Francesco Galloni «La Montanina»
Velo d’Astico (Vicenza)
Un decennio, ancora. La corrispondenza pontificale è rappresentata da più d’una dozzina di scritti, alcuni estesi e assai significanti, anche se nella forma indiretta usata solitamente da papa Paolo VI. Primo di questi, secondo della serie per data, è una lettera per unanime compianto in morte del cardinale Giulio Bevilacqua:
Al caro e venerato Monsignore
Francesco Galloni
Siamo grati per i sentimenti che egli ci esprime in occasione della piissima morte del Cardinale Giulio Bevilacqua, da cui tanti insegnamenti e tanti esempi di sapienza e di fortezza ci vennero, e tanto conforto di amicizia sacerdotale ci fu prodigato. Piangendone umanamente la terrena scomparsa, ne pregustiamo spiritualmente la celeste conversazione; e mentre preghiamo per la sua pace in Cristo, corroboriamo con la sua memoria la nostra fedeltà a Cristo, nostra luce e nostra speranza.
Ci è motivo di consolazione la testimonianza dei buoni ricordi e della comunione di preghiere, e la ricambiamo con la nostra sempre memore affezione e con la nostra apostolica benedizione.
Paulus P.P. VI
5 giugno 1965
A Monsignor Francesco Galloni «Montanina»
Velo d’Astico (Vicenza)
Le grandi feste di Natale, dell’Epifania, di Pasqua, danno occasione a biglietti di cordiale augurio, vergati in genere a corredo di belle immagini sacre a stampa - una geniale usanza del pontificato. A saggio, questi:
Al caro e sempre ricordato Amico
Mons. Francesco Galloni
giunga l’affettuoso ricambio dei nostri cordiali auguri, che, nel culto delle comuni e pie memorie, per lui, per le persone che gli sono care, per la sua sacerdotale attività presentiamo al Signore, e che avvaloriamo con una particolare benedizione.
Paulus P.P. VI
18 dicembre 1966
A Monsignor Francesco Galloni
Velo d’Astico (La Montanina - Vicenza)
A Monsignor
Francesco Galloni
un vivo ringraziamento per le sue buone e confortanti parole, e insieme invocando la materna assistenza della Santissima Vergine con cuore ancor pieno di gaudio pasquale lo salutiamo e lo benediciamo.
Paulus P.P. VI
Pasqua 1974
S’intercalano lettere, autografe come i biglietti, ma nella forma diretta, che meglio serve a esprimere i sentimenti personali. Un ricordo proprio di giovinezza, del remoto 1915, è ricambiato in apertura, e a conforto di qualche dolente accenno, in una del ’68:
Caro «Don Francesco»,
abbiamo ricevuto con grande piacere la lettera del 21 novembre scorso, che con tanta bontà e con tanta nostra compiacenza rievoca al nostro spirito la memoria sempre nitida e cara delle giornate insieme trascorse all’eremo di S. Genesio, in santa meditazione sulle cose di Dio ed in pia conversazione, in compagnia del venerato Padre Caresana, quando appena la prima guerra mondiale aveva impegnato anche l’Italia. Ricordiamo ancora con commossa riconoscenza quanto allora ci fosse benefica la visione panoramica dei luoghi manzoniani, commentata da chi ne aveva fatto lunga e spirituale esperienza. E siamo lieti che lo sguardo retrospettivo del sacerdote amico dal lontano passato si rivolga alla scena presente della vita della Chiesa, delle sue prove interiori e delle sue esteriori difficoltà; e, indovinando quali siano i nostri sentimenti al riguardo, scopra le amarezze e insieme le nostre speranze, quali ci fanno attingere più intimamente il vincolo ineffabile che a Cristo ci unisce, e ci obbligano a maggiore impegno di comprensione e di carità nell’umile e grande esercizio della nostra missione apostolica, lasciandoci una volta di più ammirare, a nostro ammonimento, il chiaro e misterioso rapporto fra le due celebri parole evangeliche: «diligis me?» e «pasce».
Ci consola, a nostra volta, ascoltare dalle labbra di così fervoroso e fedele figlio della Chiesa, l’eco di qualche nostra parola, resa feconda da chi per sua sacerdotale virtù la ascolta e la mette a confronto con l’ora critica della nostra storia. Potrà questo cordiale colloquio essere ripreso, se mai una visita del nostro prelato della Montanina ce ne offrirà propizia occasione; lo salutiamo intanto, lo ringraziamo, ci raccomandiamo alle sue orazioni, e con i voti per il prossimo Natale di cuore lo benediciamo.
Paulus P.P. VI
9 dicembre 1968
A Monsignor Francesco Galloni alla Montanina di Velo d’Astico
(Vicenza)
La lettera più preziosa, per l’intimità delle confidenze su eventi che costituirono la più sofferta passione dell’animo essenzialmente sacerdotale di Paolo VI, è un’altra, di quasi sei anni dopo:
(privata e personale)
A Monsignor Francesco Galloni «La Montanina» - Velo d’Astico (Vicenza)
Carissimo Don Francesco,
come è stata per me motivo di commozione e di consolazione la scoperta della Tua presenza ad una recente udienza generale, in mezzo alla folla nella basilica di San Pietro (ma perché non preavvisarmi e darmi modo d’un più tranquillo colloquio?), così ora l’arrivo della Tua tanto bella e tanto gradita lettera del 1° agosto mi riempie il cuore di affettuosa e religiosa riconoscenza. Ho risentito la Tua voce d’un tempo, ho ravvisato nel Tuo scritto la generosa spontaneità del Tuo animo sacerdotale, ho raccolto la testimonianza del tuo amore per questo piccolo e umile successore di San Pietro, ed ho goduto della Tua amicizia espressa in termini di piena comunione in Cristo e nella Chiesa. E posto che Tu parli dell’offerta della vita, io la voglio accettare, e unirla a quella della vita mia, e così unirla in oblazione congiunta a Cristo nostro Signore, per la sua Chiesa, con vigilante intenzione per la passione di cui oggi soffre la nostra santa Chiesa, a causa specialmente della defezione di tanti suoi sacerdoti e religiosi, che sono tentati dall’incertezza circa la propria identità di ministri e di seguaci del Vangelo, e si lasciano vincere dalla stanchezza d’una promessa fedeltà, e dalla seduzione d’una più facile vita. È questa la mia corona di spine; e Dio voglia che la sofferenza ch’essa procura alla madre Chiesa, e di riflesso anche a chi in essa ha responsabilità pastorale e sensibilità spirituale, valga a riparare un po’ tanta sventura ed a ottenere a me per primo, ai confratelli fuggitivi, e a tutto il Popolo di Dio, la misericordia del Signore e la gioia di saperci ancora e sempre umili suoi ministri e seguaci.
Grazie, ad ogni modo, del tuo gesto amico e generoso, che mi sembra riassumere in coerente espressione la nostra primitiva e ormai lontana negli anni conversazione spirituale.
La tua gentilezza Ti porta a ricordare le persone e l’ambiente della mia casa, che Tu conoscesti nei primi tempi del tuo sacerdozio, traendone ed apportandovi prezioso conforto morale. Grazie anche di cotesta cristiana pietà, che accresce in me, con dolce memoria, la riconoscenza che devo al Signore per tanti suoi doni. E sappi ch’io pure non ho dimenticato gli esempi di cristiana virtù, che anche a me vennero dalla Tua ottima e cristiana Famiglia.
Al vespro della nostra giornata terrena queste rimembranze ci mostrano, quasi in trasparenza, la bontà di Dio e la bellezza della virtù cristiana, e riempiono l’animo di speranza del prossimo incontro con quella misteriosa società, ch’è e che sarà la comunione dei Santi.
Continua a pregare per me, per i miei cari, per la nostra Santa Chiesa; ed abbiti col mio cordiale saluto, una speciale benedizione apostolica. In
Paulus P.P. VI
8 agosto 1974
A Monsignor Francesco Galloni «La Montanina»
Velo d’Astico
(Vicenza)
Il penultimo scritto della serie è un biglietto natalizio dell’anno stesso, improntato della «antica amicizia», al combattente della milizia di Dio, già infermo, e che stava per compiere il suo ottantacinquesimo anno:
Al caro e venerato Monsignor Francesco Galloni ricambio con vivo ringraziamento i suoi auguri natalizi, lieto di ricevere l’espressione scritta di sua mano; il che mi conferma le notizie, tanto attese, della sua migliorata salute, e mi lascia sperare che la sua tacita, ma fedele comunione di ricordi, di speranze, di preghiere alimenti con pari memoria i miei voti per lui e per l’opera sua.
Sì, di cuore, nello spirito dell’antica amicizia, e oggi nel fervore della santa festività del Natale, mando al caro don Francesco un saluto pieno di spirituale letizia, e lo confermi per lui e per quanti gli sono vicini nel Signore una speciale benedizione apostolica.
Paulus P.P. VI
25 dicembre 1974
L’antico cappellano degli alpini Francesco Galloni morì il 5 giugno 1976, a Velo d’Astico, tra i monti amati, per dare la scalata al più alto. Due anni dopo, anche il suo grande, fedele amico fu accolto, gloriosamente, tra i tabernacoli che Pietro estasiato voleva innalzare su quello della Trasfigurazione (n.v.).