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la penna del caporale Amerigo Rizzardini
ruolino rizzardini

Descrizione

da La Voce del Popolo, 12 marzo 1955

da Il nome negato. La tragica vicenda di Amerigo Rizzardini, Fabrizio Galvagni, ed. Valle Sabbia, 2018

Riabilitata la memoria del caporale Amerigo Rizzardini

Vittima di un malinteso egli venne processato e condannato

La vicenda narrata dal cappellano Monsignor Galloni

[12 marzo 1955] Vobarno si appresta a celebrare il Decennale della Resistenza con opere degne di lode.
Concordi popolo, autorità costituite, Associazione dei Congiunti di Ca­duti e Dispersi in guerra, Associazioni d’Arme e Combattentistiche han­no deciso di dare degna sistemazione alle Salme dei Caduti di tutte le guerre e di incidere in bronzo i nomi dei militari caduti.
Anche il nome del caporale Amerigo Rizzardini troverà posto tra i com­pagni d’arme ed il suo nome sacro come quello degli altri Caduti per la Patria, dopo un periodo di burrascose controversie, a buon diritto di do­verosa riparazione sarà onorato.
Una lettera (che qui riproduciamo, con altro documento) del Cappellano militare il Rev. Mons. Galloni che assistette negli ultimi istanti il Rizzar­dini rende testimonianza, oltre che dell 'ingiusta condanna, della serenità con la quale il Rizzardini ajfrontava la morte per la Patria.

Carissimo,
Un malanno che mi tiene a letto da tre settimane mi ha impedito di ri­spondere alla sua del 22 novembre [1954 n.d.r.]. Aggiungo che la lettera ha prima peregrinato dalla Montanina1 a Roma, dove mi ha raggiunto mentre ero in partenza.
Appena riavuto un po ' meglio, mi propongo di mandarLe una dichiara­zione circostanziale che riguarda il nostro Rizzardini; intanto dichiaro ed affermo che Amerigo Rizzardini fu condannato innocente e che se fos­se oggi vivo il suo tenente (morto da Colonnello in Russia) avrebbe rifat­to la Sentenza Ufficialmente. 2.o Che il monumento senza il Suo nome unito agli altri Nostri Caduti non è concepibile. 3.o Ci impone perciò una riparazione ed il Comitato ha il dovere di provvedere a rendere ono­re ad un Martire e riparare ad una fatale ingiustizia.
La morte di Rizzardini ha unificato, commosso ed impressionato tutti i più che 300 presenti compreso il Tribunale.
Saluto intanto Lei di cuore e Le dico fin d'ora che terrò ad essere pre­sente quando inaugurerete il monumento e Le sarò grato se mi vorrà av­vertire in tempo.
Aff. Mons. Galloni, già Cappellano militare del 5.o Regg. Alpini - Batt. Monte Suello

La documentazione
Amerigo Rizzardini, caporale decorato al valore, trovandosi ad Ala per un corso di esercitazioni, la sera di Pasqua 1918 [31 marzo n.d.r.] il Riz­zardini con alcuni suoi compagni presero un po’ a scherzare con altri della Fanteria Territoriale chiamandoli «quei della buffa»2. Lo scher­zo, non accettato con spirito, degenerò in rissa, durante la quale il Ser­gente di detta Fanteria ebbe un calcio all 'inguine dal Rizzardini. In se­guito a ciò il sergente passò alcuni giorni all 'ospedale.
Questo il fatto. Il Comando di Divisione che da tempo era preoccupato per alcune insubordinazioni e qualche diserzione avvenuta in taluni re­parti esagerò quell 'insignificante incidente che avrebbe tutt 'al più meri­tato un provvedimento disciplinare, ordinò un processo d'urgenza.
Il sottoscritto chiamato dal comando di Divisione lasciò la linea delle Zugne, raggiungendo Ala verso le undici del mattino. Un ufficiale del comando l'informò immediatamente di quanto si trattava e lo pregò di assistere i condannati.
Ciò significava che il processo non era che un prò forma e già in antici­po era stata decisa la condanna a morte del Rizzardini e a vari anni di ergastolo gli altri compagni.
Il processo si svolse rapidamente nel giardino di Villa Malfatti presenti numerose rappresentanze dei vari reparti.
All’avvocato di accusa e relativa requisitoria la difesa d’ufficio compo­sta di due avvocati nulla oppose; allora il sottoscritto fece chiedere al Tribunale che gli concedesse la parola; gli venne negata. Il Tribunale si ritirò e dopo breve tempo tornò con la sentenza di morte per il Rizzardi­ni.
Il Rizzardini seduto su una panca accanto al Cappellano militare, si con­fessò e chiese l'Eucaristia che un altro Cappellano portò dalla Chiesa parrocchiale. Il Rizzardini si preparò alla morte con profondo spirito di fede e commovente serenità. Senza ombra di cinismo, di disprezzo, di av­versione, di paura. Mi manifestò il desiderio di dire due parole ai suoi compagni. Chiese ad essi perdono. Li salutò e disse che intendeva offrire la sua vita a Dio per la Patria e per loro. Si avviò tranquillo verso una sedia appoggiata ad un albero con negli occhi una pace che era presagio di quella che tra pochi istanti avrebbe raggiunto in cielo. Mentre lo ab­bracciavo trasse di tasca e mi consegnò un pacchetto di sigarette e mez­zo toscano dicendomi: «Lei sa che sono povero, dia questo come ricordo ai miei compagni e a Lei la penna del mio cappello». Incrociò le braccia e attese la scarica. Cosi si consumò il sacrificio. Singhiozzi si udivano qua e là tra i soldati impressionati da quella morte che aveva sublimato un figlio del popolo. Presi il comando della truppa, si trovò un tricolore, se ne avvolse la bara e tra due ali di popolo commosso attraverso le vie di Ala lo si accompagnò) al cimitero.
Avviandomi verso sera verso le Zugne per raggiungere il Battaglione in linea, ad un certo punto mi raggiunse una moto e il conducente mi disse che il Comando di Divisione mi desiderava. Feci presente che non mi sentivo di indugiarmi altro tempo lontano dal Battaglione esposto al fuo­co con stillicidio quotidiano di feriti e di morti.
Mi assicurò che egli stesso mi avrebbe poi accompagnato fin dove era possibile. Al Comando mi venne incontro il Capo di Stato Maggiore, co­lonnello Tumino [Tenente Colonnello Gabriele Tumino, Capo di Stato Maggiore della 27a Divisione n.d.r.] che abbracciandomi e quasi pian­gendo mi disse: «Abbiamo bisogno di ima sua parola: la morte di quell'Alpino ci ha profondamente colpiti».
Risposi: «Offenderei la memoria di quei martiri se osassi giudicare quanto è avvenuto. Egli ha offerto la sua vita in espiazione per sé e per tutti. La sua anima riposa nella luce e nel cuore del Signore. La Grazia Sovrana ha riabilitato la Sua memoria e la sua grazia e santi­ficato il Suo Sacrificio».
Mons. Galloni

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da Opera Italiana Pro Oriente  - che solo amore e luce ha per confine, don Francesco Galloni, ed. Morcelliana, Brescia, 1922

[...] Ma io ho esempi terribili : Amerigo Rizzardini, caporale Alpino — condannato (tu sai chi è tuo testimonio, tu sai il santo mistero che vela il tuo eroismo) che ti prepari a morire affondando il ginocchio sulla terra che berrà il tuo sangue, e rivolgi ai compagni parole miti con un fare dimesso che ci sgomenta — che ci stordisce e dà le vertigini ai tuoi giudici. Rizzardini ! che domandi come dono pel tuo sacrificio di poter considerare il tuo sangue che uscirà dalle vene lacerate dalla disperazione dei fratelli, come 1’ offerta della tua anima alla Patria e dici grazie, con tenera umiltà, alla spaventosa fatalità che ti sopprime, come se il bacio di tua mamma ti annunciasse la vita ;  paradosso sublime, proporzione senza limiti del sacrificio, legalizzato malfattore, eroe, eroe, eroe che spingi all’ estremo la possibilità umana dell’ amore, che interdici a noi e alla tua famiglia immolata il lamento che non sia accettazione e devozione, tu contemplavi in volto la Innocenza della tua Patria, la supplica del suo amore e del suo dolore, tu imitavi il tuo Cristo che in quell’ ora tu avrai veduto davanti a Pilato, Cristo orrore d’ infamia, il Re del 'Crucifige' e del 'Consummatum est'. Volesti i tuoi occhi liberi e chiari per salutare la morte e i tuoi compagni che hanno alla prima scarica sbagliata la tua testa a dodici metri.... i tuoi compagni presso i quali tu, miserabile figlio di misera­bili ti rammaricavi per non avere un ricordo da offrire e lasciavi — scherno di tutta la tua ricchezza e dono insupe­rabile di altezze irraggiungibili — un pacchetto di sigarette e mezzo toscano !
Le stigmate di un corpo offerto e trafitto, compagni atterriti che nello strazio inenarrabile son fatti ubbidienti carnefici, genitori infermi, e una sorella tisica che custodi­scono benedicendo la sacra istoria con la penna del loro alpino, sono l’anima, la vita di questa madre Italia che spinge il suo sguardo fino alla profondità di una tragedia senza confini, per ritrovare negli strati più cenciosi della società, come sulle torri luminose delle sue cattedrali l’urlo impla­cabile contro i dilapidatori della sua pace e della sua vittoria e il comandamento per noi della carità universale.