
Descrizione
FEDE e VALORE
“ Opera per l’assistenza religiosa e civile del soldato,,
Come si prega in trincea
Cari Soldati,
porto nel cuore un dolore che mi ha reso mesto tutta una giornata — e che ho bisogno, per sentirmi sollevato (e più lieto), di dire anche a voi, — a voi che potete, che sapete porgere sempre, per ogni bisogno, il vostro aiuto fraterno. — E ascolterete con semplicità, con sincerità, come vi è detta, questa espressione di supplica e di rammarico : — e un’ altra volta ancora la vostra bontà e la vostra fede daranno la giusta, la santa risposta.
Ricordate domenica? quelli di voi che, non comandati agli ordinari servizi, han potuto assistere in S. Fermo alla Messa dei soldati, unire a quella di tutti i fratelli la preghiera del nostro cuore cristiano — avranno provato tutta la gioia, tutta la forza che viene dagli altari, tutta la fierezza del ritrovarci uniti innanzi a Dio, del sentirci fratelli in Nome di Lui.
Nell’armonia benedetta e commovente delle nostre anime, nell’incontro dolcissimo dei nostri cuori non era possibile immaginare una nota stonata, uno strappo alle comuni affezioni, quasi un insulto alle soavi speranze.
Un gruppo dei nostri compagni, — buon anch’essi ma sventurati — hanno rifiutato di entrare con noi nel tempio santo, di assidersi alla carità che viene dal Cielo, di unire la lode, il ringraziamento a Dio che è Padre di tutti — dei buoni e dei cattivi, dei felici e dei sofferenti — hanno negato ai fratelli combattenti la riconoscenza pei loro sacrifici, non hanno voluto pregare con noi. E dal labbro, aperto da Dio per cantare le speranze e l’amore, dal labbro su cui in giorni cari si è posato il volto della loro madre, dal labbro un tempo consacrato dall’invocazione celeste « Padre nostro che sei ne’ cieli » — è uscita invece la bestemmia e la negazione.
Sarei caduto in ginocchio davanti a quei nostri fratelli, avrei voluto prendere le loro mani e stringerle fortemente, la loro testa e appressarla al cuore della creatura che maggiormente amano, perchè udissero la violenza, l’angoscia di una preghiera; sapessero il male che fanno e comprendessero quanto è facile il bene, quanto è dolce sentirci figliuoli di Dio e fratelli, veramente fratelli tra di noi. — Sapete cosa hanno detto, poveretti ? — « che Dio non merita la nostra preghiera perchè lascia che duri la guerra, e che noi soffriamo sotto la disciplina altrui ».
— Fratelli cari, che avete pronunciata la triste parola, l’inconscia parola dell’irritazione e della- sfiducia se anche a voi perviene questo accento, questa preghiera mia — mi ascolterete perchè vi parlo con tutto il cuore, perchè vi veggo e vi saluto a nome dei compagni che stanno in trincea e ai quali ritornerò presto — perchè nell’anima vi è la brama del vostro bene, la stima della vostra Giovinezza — mi ascolterete perchè vi dico : Iddio non lo potete sentire nella quotidiana spensieratezza, nella corruzione, nella cattiveria ; Iddio é assente dalle pazze frenesie che intorbidano e disonorano la vostra giornata — e lontani da Dio voi, o cari infelici — non intendete la grandezza e la santità del nostro sacrificio del nostro dovere ». — Ritornate, figliuoli, alle sante abitudini cristiane, rivedete la casa della preghiera e della pace, incontratevi nel Padre Celeste e riavrete tutta la luce della vostra giovinezza, tutta la gioia, tutta la calma del vostro spirito.
Fate come i fratelli in trincea
Sulle Alpi dal candore delle nostre nevi sale a Dio l’omaggio più gradito; noi preghiamo volentieri lassù, la nostra Messa è sempre l’episodio più caro della settimana, il ricordo più dolce, il conforto più vero.
Anche i più pigri, i più restii, anche quelli che quand’erano alle loro case dimenticavano la Messa — lassù l’ascoltavano con trasporto - con gioia non vi sono piu pigri, né restii, né cattivi lassù — e non è la paura che ci spinge a pregare — noi non abbiamo paura — ma è Dio che ci parla, che ci conforta, che ci anima — e noi a Dio rivolgiamo tutto l’impeto del nostro cuore, tutte le speranze della nostra vita ; e sapeste come siamo lieti anche nelle nostre prove, quanta serenità anche fra tanti dolori, quanta bontà e quanta pazienza fra le pene più dure! Perchè? perchè dal nostro altarino da campo a noi viene una benedizione, una forza che non è terrena. E perchè voi non pregherete ? perchè voi che ci siete fratelli non volete aiutarci — perchè bestemmiate, perchè insultate Iddio? I nostri Morenti ve lo chieggono quest’aiuto — i nostri combattenti vi lanciano questo appello — le creature tutte che veramente ci amano esigono da noi questo rispetto, questa fedeltà, questo ritorno tra le braccia del Padre.
Fatevi un dovere gravissimo - giuratelo alla vostra coscienza: non mancare mai la domenica alla vostra Messa. — Nel tempio augusto, bello e tranquillo di S. Fermo portate pei combattenti la speranza, la fede. Quando lassù tuona il cannone noi ci raccogliamo intorno al Cappellano e pieghiamo fidenti le ginocchia davanti al suo piccolo Crocifisso ; e quando prima dell’assalto il Cappellano ci benedice con l’Eucaristia che porta al collo in una piccola teca d’oro, i nostri occhi sono pieni di commozione, e il nostro cuore è saldo.
Quante volte la Messa ci è costata il pericolo della vita — e non temevamo: proiettili di srapnel un giorno di luglio del sedici hanno forato il nostro altare da campo — più volte nel settembre — ottobre del diciassette ci scoppiarono vicini, mentre fuori della galleria ascoltavamo la Messa. Nell’ottobre del sedici durante giornate terribili noi trovavamo conforto e speranza ricevendo accanto ai compagni morti, ai compagni rimasti insepolti per una crudele necessità, l’Eucaristia.
E un giorno che lo scoppio d’una nostra bombarda uccise molti dei nostri travolti sotto le macerie delle riservette saltate, io vi assicuro — che se dinanzi alla scena di dolore il povero Cappellano non è impazzito, lo deve alla S. Eucarestia che teneva vicina al suo petto, e vi assicuro ancora che se a noi soldati non mancarono le forze quel giorno per ricercare sotto l’enorme cumulo insanguinato, tra i grossi proiettili inesplosi i resti dei poveri compagni massacrati anche noi lo dobbiamo alla visione mite e celeste della S. Eucarestia. — E un giorno ancora che per ricercare la salma di un nostro compagno siamo usciti dalle nostre linee, ci siamo sperduti nelle difficoltà del terreno e senza saperlo ci siamo trovati a pochi metri dai nemici che ci flagellavano con le bombe a mano, quel giorno, o soldati, che l’avvilimento, il timore, l’isolamento dai nostri ci avrebbero persuaso ad arrenderci e a lasciare abbandonata la Salma del nostro Caduto, quel giorno noi abbiamo avuto tanta fierezza, tanta sicurezza, tanta calma, e tanta pietà — da riuscire a portarci il povero nostro Compagno, a sfuggire con abile manovra ai nemici, a rientrare incolumi nelle nostre linee. Sapete chi era la nostra guida, e
il nostro conforto? — Il piccolo Crocefisso di guerra che ci precedeva.
Lo crederete, soldati, perchè nelle nostre parole non v’è una sillaba che non sia scritta in cuore, non v’è un accento che non sia di verità e di sincerità. Accettate tutti, accogliete l’esortazione: unitevi a noi, stringetevi a noi nella preghiera, nel pensiero cristiano: e voi negando la vostra presenza alla Messa, voi ci rubate l’alimento dello spirito.
Compagni che siete buoni, — e tutti lo siete, — compagni che mai neghereste il tozzo di pane al poverello che ve lo chiede, voi non ci negherete questa carità dell’anima: — Ogni domenica, ricordatelo per voi — ditelo a tutti con nobile, con ardita franchézza, venite alla S. Messa dove la gioventù canta le glorie di Dio — dove la famiglia si riannoda nelle speranze, dove voi soldati, soldati cari e benedetti, divenite più belli e più cari, più belli e più grandi, perchè vi adombra il raggio di Dio, perchè vi eleva la carità immortale.
La guerra à rivelato tesori ignorati ; sapete voi (quali sono le figure più belle e più dilette? sono semplici creature di contadini, di montanari ; gente umile, gente povera, gente che il gran volgo degli orgogliosi, dei vani à sempre deprezzato : e questi figliuoli (della nostra terra, questi custodi dei nostri campi, questi adoratori delle nostre montagne, dinnanzi al sacrificio, dinnanzi alla morte ànno saputo elevarsi in alto, molto in alto e imporsi per nobiltà e per grandezza all’attenzione, all’amore, all’ammirazione di tutti. E sapete ancora cos’era mai che spirava nel loro cuore, che donava tanta calma alla loro anima, tanta bontà, tanta dignità alla loro vita? che li rendeva cari ai compagni, pietosi, generosi, imperturbabili sempre Domandatelo a noi che li conosciamo — domandatelo a quelli che stavano loro accanto nelle lunghe notti di veglia in trincea, che li sorprendevano, li interrogavano nei momenti di mestizia, di raccoglimento — che ànno come bevuto la loro anima — e vi diranno — quante volte li àn veduti mormorare piamente una preghiera, mentre nell’infuriar della tormenta sentivano venir meno le forze ; quante volte tra una stanchezza e un’altra ànno ricordato la loro Corona, e la memoria e l’emblema cristiano dato dalla Mamma prima di partire.
Giovani cari, dimenticate il pregiudizio, le viltà, le angustie: — imparate, come nei giorni della vostra innocenza il Nome e la bontà di Dio — e voi troverete le spiegazioni dei grandi dolori, delle nostre prove. Sono ragioni che gli uomini non sanno, ma che al cristiano vengono rivelate ; — allora il cristiano attende mite e buono nella pazienza, nella rassegnazione — allora il cristiano esulta nel suo sacrificio — e spera; sì: speriamo, o giovani, speriamo con tutte le forze dell’anima — con tutta la bontà del cuore — speriamo per l’amore delle nostre famiglie, dei nostri cari, per amore di tanti generosi sconosciuti — per amore anche di questo nostro Paese tanto bisognoso di luce, tanto degno di verità, tanto avido dì carità.
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VERONA — Tip. Vero. G. MARCATORI - 1918